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Il Cigno (N)Zero: e adesso via libera al vero cambiamento. Come?

Ormai l’unica costante dello scenario post COVID19 è il suo cambiamento, o forse nemmeno più quello?

La situazione dei ricoveri in Italia è migliorata molto, insieme ovviamente a quella dei contagi, ma quest’ultima non cessa, giustamente, di suscitare attenzione e preoccupazione. L’Italia è divisa in fazioni (strano, vero?) che comprendono, tra le altre, i prudenti ( o forse è meglio definirli gli ‘attenti’), costantemente attenti alle precauzioni anti contagio, e gli incoscienti, ossia quelli del “è tutto finito”, senza dimenticare i popolar-complottisti che, aiutati anche da messaggi semi deliranti di certa politica, sostengono che alla fine sia stato solo un mega complotto e che è un nostro diritto evitare le mascherine. A queste fazioni ritenetevi libere di aggiungerne altre di vostro gradimento, tanto si sa che in Italia una fazione non bisogna mai farsela mancare.

E il resto del mondo ?

Nel resto del mondo le fazioni non sono molto diverse. Colpisce, ma purtroppo non stupisce, che anche in una situazione di così evidente drammaticità interi governi, e quindi intere nazioni, si trovino a negare la gravità di questa emergenza che conta ormai milioni di contagi e centinaia di migliaia di morti, con dati e andamenti che, tragicamente, non accennano a migliorare.

D’altro canto avevamo già evidenziato che la terza fase (QUI) sarebbe stata altamente indefinita, e con ampie possibilità di organizzazione per le aziende, e non eravamo stati sicuramente i soli ad evidenziare una necessità forte di cambiamento, sia dal punto di vista delle organizzazioni private che di reazione dei governi. anzi, in molti avevano anche già previsto scenari  che purtroppo si sono puntualmente avverati (QUI).

Ma lo scenario più plausibile nel futuro prossimo qual è?

Dipende, ovviamente, da dove mettiamo nel tempo il nostro orizzonte di valutazione, ossia da quale futuro consideriamo ‘prossimo’. Uno scenario a un anno potrebbe differire di molto, ma forse non troppo, da uno scenario a tre anni, che a sua volta sarà diverso da uno scenario a cinque. L’unica certezza quindi rimane il cambiamento, o meglio, l’esigenza di adattare il nostro modello comportamentale privato e professionale a nuove esigenze sociali, che ormai abbiamo imparato bene a conoscere, ossia distanziamento sociale, per quanto possibile, e dematerializzazione sistemica dei processi.

Di fatto, nessuno vuole più trovarsi nel marasma di improvvisazione che ci ha avvolti per alcuni mesi, e quindi molti, e credo a breve diventeranno moltissimi, iniziano a valutare il da farsi, prendendo in considerazione l’ipotesi, a nostro avviso nemmeno troppo campata in aria, che sarà necessario poter convivere con lo spettro di chiusure e riaperture multiple negli anni. Insomma, che sia per questa emergenza pandemica ex COVID-19, o che sia per altre emergenze globali sarà necessario poter continuare a vivere producendo valore per la comunità, ossia lavorando, anche in caso di lockdown, e questa secondo molti è l’unica possibilità di continuare a mantenere vivibile il nostro modello sociale.

Per dirla in breve, bisogna diventare ‘resilienti’, ma come si fa?

Ovviamente non è semplice, ma si sa, di semplice in una situazione di questo tipo non è rimasto nulla. Di fatto, ci sono diverse fasi di cambiamento da affrontare, tutte diverse tra loro, e per ognuna di queste fasi ci sarà una resistenza al cambiamento da parte di chi questo cambiamento lo dovrà affrontare anche senza volerlo.

Come si supera la resistenza al cambiamento?

Qui in teoria il discorso diventa articolato, ma proveremo a farlo diventare semplice. Il primo passo da fare è quello di mettersi a disposizione del cambiamento, anche mentalmente, avviare un percorso di rinnovamento dei modelli operativi, pensando di poter eliminare l’interazione fisica ravvicinata tra le persone in tutti nostri modelli operativi aziendali. Il cambiamento a questo punto diventerà permeante di tutte le attività aziendali, e questo a molti sicuramente non piacerà. È un cambiamento culturale, il che lo rende particolarmente difficile e spesso lungo, ma sicuramente non impossibile.

Esistono diversi tipi di resistenza al cambiamento, proverò a riassumerne alcuni. Alcuni resistono al cambiamento perché pensano di riceverne un danno, altri oppongono resistenza perché pensano, in totale buona fede, che il cambiamento proposto non raggiungerà i risultati promessi, altri resistono perché pensano di non potersi permettere quel cambiamento dal punto di vista economico, anche se raggiungerà i risultati, altri infine pensano di non avere le competenze giuste per poterlo affrontare e non sanno dove reperire quelle competenze.

Il primo ad affrontare una analisi della resistenza al cambiamento in questa direzione fu Nicolò Macchiavelli, che nel Principe, ossia circa 500 anni fa, scrive nel Libro VI:

“E debbesi considerare come non è cosa più difficile a trattare, nè più dubbia a riuscire, nè più pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini. Perchè l’introduttore ha per nimici tutti coloro che degli ordini vecchi fanno bene; e tepidi difensori tutti quelli che degli ordini nuovi farebbono bene; la qual tepidezza nasce, parte per paura degli avversari, che hanno le leggi in beneficio loro, parte dalla incredulità degli uomini, i quali non credono in verità le cose nuove, se non ne veggono nata esperienza ferma. Donde nasce che qualunque volta quelli che sono nimici, hanno occasione di assaltare, lo fanno parzialmente, e quelli altri difendono tepidamente, in modo che insieme con loro si periclita. È necessario pertanto, volendo discorrere bene questa parte, esaminare se questi innovatori stanno per lor medesimi, o se dipendano da altri; cioè, se per condurre l’opera loro bisogna che preghino, ovvero possono forzare. Nel primo caso capitano sempre male, e non conducono cosa alcuna; ma quando dipendono da loro proprii, e possono forzare, allora è che rade volte periclitano. “

N.Macchiavelli – Il Principe – Libro VI

Al di là della bellezza per me innegabile di questo testo, è interessante come Macchiavelli avesse identificato, già cinque secoli fa circa, una delle principali cause di fallimento dei processi di cambiamento, ossia l’esigenza di sponsorship. Anche se nel testo non è menzionata in questi termini, a mio avviso appare evidente quando scrive “È necessario pertanto, … (omissis) , esaminare se questi innovatori stanno per lor medesimi, o se dipendano da altri; cioè, se per condurre l’opera loro bisogna che preghino, ovvero possono forzare. Nel primo caso capitano sempre male, e non conducono cosa alcuna; ma quando dipendono da loro proprii, e possono forzare, allora è che rade volte periclitano.”

La mia interpretazione del testo è che gli innovatori che dipendono da altri non possono imporre il nuovo modello organizzativo perché mancanti di autorità o di forte sponsorship, mentre quelli che ‘dipendono dal loro proprii’ sono autonomi nell’imporre il cambiamento organizzativo, e questo può derivare solo dal disporre di autorità diretta sul progetto di cambiamento o dall’avere una forte sponsorship da parte di chi esercita autorità su tutto l’orizzonte previsto dal cambiamento.

Quindi servono predisposizione mentale al cambiamento e sponsorhip (o autorità. Tutto qui? No, ma è un fantastico inizio.

Ovviamente servono anche competenze e strumenti metodologici e tecnologici. Iniziamo da questi ultimi, anche perché gli strumenti tecnologici risultano i più semplici da reperire, e saranno evidenti, per tipologia e numerosità, una volta completata la fase di progettazione del nuovo modello organizzativo.

Per gli strumenti metodologici il discorso è diverso, ma non così tanto, anche perché i framework metodologici che si possono utilizzare in questo senso non sono molti. Personalmente credo che uno strumento fantastico per questo scopo sia la disciplina ITSM, Information Technology Service Management, e più specificatamente il framework ITIL, Information Technology Infrastructure Library, giunto nel 2019 alla sua versione 4.

Ovviamente le competenze di analisi organizzativa, change management e project management sono fondamentali per la realizzazione di un buon progetto di cambiamento organizzativo, ma se vogliono sfruttare al meglio le potenzialità del framework ITIL, allora è fondamentale avere nel team che progetterà ed implementerà il nuovo modello organizzativo competenze estese sul framework.

Ma perché proprio l’ITSM? Perché proprio ITIL?

Perché per sua natura, pur trattandosi di una disciplina riferita all’IT, l’ITSM contiene degli elementi organizzativi che risultano facilmente applicabili a tutte le realtà organizzative, a prescindere dal loro mercato di riferimento, dalla loro specializzazione, dalla loro dimensione o dalla localizzazione geografica.

Ancora più semplice è riconoscere il valore di ITIL in queste operazioni. Il framework ITIL nasce nel Regno Unito come standard per la definizione dei servizi IT destinati alle amministrazioni pubbliche britanniche, e si è evoluto nel tempo diventando, anche grazie alla sua altissima elasticità, una best practice utilizzata in tutto il mondo sia nel pubblico che nel privato. Per quanto riguarda la sua applicabilità al cambiamento organizzativo dentro e fuori dal mondo IT credo che sia un tool naturale per questi obbiettivi grazie alla sua granularità, che diventa elasticità nelle mani dei giusti professionisti, ed alla presenza di processi strutturati, ma non ingessati, in grado di modellare praticamente qualunque aspetto della relazione tra un fornitore di beni e/o servizi ed i suoi Clienti.

A questo punto credo sia tutto molto più chiaro.

Volendo semplificare (parecchio!) possiamo dire che tutte le aziende del mondo fanno la stessa cosa, ossia vendono beni e/o servizi ai loro Clienti, e se vogliono riorganizzare il loro modo di farlo, utilizzando come riferimento e supporto un framework internazionale, le sue logiche ed i suoi strumenti, ITIL offre un insieme di practice tarate esattamente per questo obiettivo.

Ad oggi le practice di ITIL4, che incorporano la precedente versione dei processi, sono cresciute, diventando ben 34, e di queste, 3 sono practice tecniche, ossia orientate allo sviluppo delle infrastrutture hard e soft di qualsivoglia azienda, mentre ben 14 sono practice di general management, ossia modelli operativi che possono essere riferiti anche a esigenze organizzative extra IT, applicabili, solo per fare un esempio, alla gestione dei fornitori, alla gestione finanziaria, alla gestione delle risorse umane ed allo sviluppo del talento individuale, della sicurezza informatica, al project management, e molte altre, testimoniando in maniera inequivocabile la sua versatilità. Altre 17 practice sono orientate verso la fornitura al Cliente, e vanno dalla gestione del Service Desk, alla gestione dei cataloghi di prodotti/servizi, alla gestione della sicurezza delle informazioni e della gestione della continuità operativa, che risulterà preziosa, insieme ad altre, per la realizzazione dei nuovi modelli operativi post COVID-19 ben al di fuori del solo orizzonte IT.

Per concludere, il mondo post COVID-19 è cambiato, e non tornerà più indietro, abbiamo l’esigenza, noi tutti, di affrontare un cambiamento organizzativo sostanziale, e non limitato alla acquisizione di strumenti, indispensabili ma non sufficienti, da dedicare alla comunicazione da remoto. Per affrontare questo cambiamento dobbiamo avere l’intenzione di realizzarlo veramente, ovvero essere disponibili noi in prima persona al cambiamento stesso, dobbiamo anche avere la possibilità concreta di realizzarlo, e questa la otteniamo attraverso una forte sponsorship dei nostri progetti di cambiamento, ci serve anche un framework che ci supporti con modelli e strumenti, e credo che ITIL sia il miglior framework disponibile sul mercato per questo tipo di cambiamenti organizzativi, e per finire ci servono le capacità e le competenze progettuali grazie alle quali sarà possibile definire e realizzare un progetto di cambiamento. A quanto pare attuare un cambiamento organizzativo mirato all’incremento dell’elasticità e della resilienza aziendale può sembrare complesso, ma sicuramente è fattibile. Ancora non siete convinti? Pensate vi manchi qualcuno degli elementi descritti nei paragrafi precedenti ? Parliamone.

Carlo Rossi – Chief Innovation Advisor – BU42 – NETCOM