Dove eravamo prima del COVID? Cosa stava succedendo nel mondo?
L’essere umano ha fatto, nei secoli, grandi progressi, partendo dalle prime meccanizzazioni che sono poi diventate produzioni di serie con l’avvento delle prime catene di montaggio, la digitalizzazione portata da un pezzo di elettronica e l’automazione, grazie anche alle prime soluzioni robotiche che si sono sviluppate e poi evolute in una integrazione di tecnologie che molti chiamano anche Industry 4.0.
Tutto questo era prima del COVID perché poi, ad un certo punto, siamo stati un po’ tutti travolti da quello che qualcuno ha chiamato un Cigno Nero e che noi, invece, abbiamo iniziato a definire “Cigno N/Zero”.
Cos’è un “Cigno Nero”, per metterlo a fattor comune? Un “Cigno Nero” è un evento di una portata enorme, molto ampia, imprevisto, non prevedibile e di fatto è diventato il mantra di questa crisi COVID.
Dal nostro punto di vista, questo COVID non era un Cigno Nero perché dall’inizio del secolo siamo già alla terza pandemia, così come ci sono state negli ultimi 25 anni già 2 crisi finanziarie, la prima definita un Cigno Nero così come la seconda. Ma se un qualcosa accade con una ciclica di un certo tipo, inizia a diventare ancora difficile definirlo come “non prevedibile”.
Perché Cigno Zero? Cigno Zero perché, come nella epidemiologia, il “paziente zero” è quello da cui nasce una epidemia o una pandemia, come nel nostro caso. Di fatto, il COVID è il primo esempio di una situazione che può diventare particolarmente stressante, ma che non può più essere definita come Cigno Nero.
La pandemia da Covid-19 ci ha messo di fronte, improvvisamente, ad un nuovo mondo. Parte di questo mondo coincide con uno scenario futuristico che era stato solo immaginato fino ad oggi e che in soli tre mesi è diventato realtà.
Appare quantomeno curioso il fatto che, negli ultimi anni, molti personaggi più o meno famosi abbiano vestito panni da profeta, prevedendo in diversi contesti ed occasioni, e con una precisione quasi imbarazzante, quanto sarebbe poi successo. Famosissimo è, ad esempio, il discorso di Bill Gates tenutosi durante il TEDX di Marzo 2015 in cui identificava proprio in un virus il futuro nemico globale.
Crisi o opportunità?
A questo punto rimane da chiedersi cosa faremo. L’unica certezza è che ci troviamo di fronte ad una crisi. L’ideogramma cinese che rappresenta la parola crisi, che si legge “uei-ciè” viene citato da JFK durante un suo discorso:
“In cinese la parola ‘crisi’ si scrive con la combinazione di due ideogrammi – Wei Ji – che significano ‘pericolo’ e ‘opportunità’, questo a significare che in ogni crisi ci sono sia pericoli che opportunità”
Ovviamente, la cosa importante da fare è provare a minimizzare i pericoli che sono insiti in una crisi e sfruttarne le opportunità.
In sintesi, “ Non bisognerebbe mai perdere le opportunità che derivano da una grande crisi.”
Due anni di Digital Transformation in due mesi – La testimonianza di Microsoft
Apprendiamo per voce del CEO Satya Nadella che stanno constatando una enorme accelerazione verso la Digital Transformation: un avanzamento di circa due anni è stato compiuto in soli due mesi durante il [loro n.d.r.] terzo trimestre (periodo gennaio-marzo).
Mercoledì 29 Aprile la società ha battuto le aspettative di vendita e profitti a Wall Street, grazie alla crescente domanda per l’applicazione dedicata a riunioni e chat virtuali denominata Teams e per i servizi di gioco per Xbox. Le ragioni di questo successo sono facilmente ricercabili nel fatto che gli ultimi mesi di quarantena hanno costretto le persone a lavorare e giocare da casa tutti i giorni.
Appare evidente, e non solo dalle parole di Satya Nadella, come questo fenomeno pandemico abbia modificato le abitudini di tutti noi. Bisogna ripensare al nostro modo di vivere ma anche, e soprattutto, a come vivere il lavoro.
Un nuovo approccio
Per fare questo, è utile partire da un esempio che è comune nella vita di tutti noi: il servizio bancario.
Per il sistema bancario italiano, il paradigma del retail banking è stato, nei decenni precedenti al 2000, quello della prossimità fisica come leva per raggiungere obiettivi di raccolta e di impieghi e per la diffusione della conoscenza del marchio sul territorio. Tutto funzionava bene fino a che i margini l’hanno permesso.
Nell’ultimo decennio il sistema bancario italiano ha affrontato una serie di criticità che hanno influito notevolmente sui risultati economici delle banche: il debole contesto macroeconomico, la tensione sui tassi, le pesanti svalutazioni sui crediti, gli sforzi di razionalizzazione delle strutture, le richieste di patrimonializzazione da parte delle autorità di vigilanza, la disruption tecnologica.
Lo sviluppo di nuove tecnologie e, al contempo, l’evoluzione multicanale stanno permettendo alle Banche di adottare modelli distributivi alternativi e meno costosi rispetto a quelli basati sulle Filiali. Ne consegue un ripensamento del ruolo della Filiale: a causa del superamento del paradigma della prossimità fisica è, cioè, possibile l’esecuzione in via remota delle operazioni che hanno tipicamente costituito il core business della Filiale, rendendo operativo il concetto di “Banca comoda”.
Cosa è cambiato, esattamente? Si tratta solo di adozione di tecnologia?
Certamente la tecnologia è stata abilitante per questo cambiamento, così come lo sono stati la forte diffusione di internet, la disponibilità per chiunque almeno di uno smartphone, l’elevata penetrazione dell’utilizzo dei social network che ha reso dimestico e familiare con l’uso di applicazioni informatiche una percentuale altissima di connazionali.
Ma non dimentichiamo che una applicazione può funzionare solo se dall’altro capo abbiamo dematerializzato / informatizzato quello che prima avveniva dietro lo sportello in filiale, solo se abbiamo digitalizzato il processo. Ed è proprio di processi che vogliamo parlare, perché fare Digital Transformation non significa adottare ed implementare un software ma, piuttosto, ripensare ai nostri processi, al modo in cui svolgiamo il nostro lavoro, non semplicemente sostituendo il foglio di carta con il form a video ma riprogettando in modo nuovo il nostro modo di lavorare.
Quali sono, quindi, le caratteristiche che deve avere il “posto di lavoro” del terzo millennio?
Innanzitutto, venendo meno i luoghi fisici (potendo lavorare da qualunque parte del mondo) devono venire meno anche gli orari di lavoro (posso, cioè, lavorare in qualsiasi slot temporale della giornata). Due delle caratteristiche sono, quindi, la mobilità e la fruibilità dei servizi H24.
Lavorando quando ci fa più comodo, però, non possiamo più pretendere che anche gli altri scelgano i nostri slot temporali, motivo per cui sarà necessario avere una maggior capacità di potersi arrangiare: il Self-Service è diventato un MUST.
Risparmiare il lavoro umano dove questo non è richiesto (che fa rima con “usiamo l’uomo per il suo cervello e non per il suo braccio”): automazione.
Fanno da contorno, infine, la sicurezza e la capacità di accedere alle informazioni come elementi strutturali e naturali.
Solo così lo spazio di lavoro diventerà un vero e proprio “Digital Workspace”.
La trasformazione da “posto di lavoro tradizionale” a “posto di lavoro digitale” è servita.
L’aspetto tecnologico, per quanto abilitante, è secondario nel mettere le persone al centro del processo, dal punto di vista della fruibilità dei servizi, della sicurezza, del risparmio di tempo evitando ad esempio attività ripetitive e ricorrenti, nel mettere le persone in condizione di sapersi arrangiare, nel prevenire i problemi.
Resilienza
La Resilienza è definita come la capacità di un individuo o di una azienda di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. Essere resilienti, per le nostre aziende, significa poter resistere meglio, poter continuare a fare business, anche a fronte di eventi traumatici come quello appena trascorso.
Per essere resilienti bisogna cambiare il modo di lavorare, bisogna abbandonare il “si è sempre fatto così”.
Qualche spunto di riflessione su quali siano, per una azienda, i rischi connessi allo svolgimento del lavoro dei dipendenti da un posto fisico di tipo tradizionale: l’ufficio.
- Impossibilità di accesso all’ufficio
- Imprevisto, ritardo, necessità di fare altro durante l’orario lavorativo canonico
- Controlli manuali effettuati da personale umano
- Processi che richiedono persone
- Rischio di perdita di informazioni
- Disponibilità
- Pandemia -> riduzione contatto sociale
La Digital Transformation non è solo un modo per vivere meglio il nostro tempo, la nostra vita lavorativa, ma è anche un modo per garantire una maggior resilienza aziendale grazie al fatto che vengono meno molte vulnerabilità intrinseche al modo di lavorare tradizionale.
Qui potete scaricare le slide presentate durante l’evento virtuale di SOIEL “Le nuove frontiere della collaborazione, tra spazi fisici e digital workplace” del 15 Luglio.
Francesco Clabot – Partner – NETCOM